mercoledì 20 agosto 2008

HUANG SHAN di Marc Riboud

Autore: Marc Riboud
Sede: Saletta Espositiva ex Albergo Alpino

Quando arrivi in cima ai monti Huang Shan, la foschia ti assale e ti avvolge, le montagne si stemperano sullo sfondo di un dipinto fin troppo cinese per essere vero.

Bisogna andarci sugli Huang Shan. Non basta raccontarli, bisogna vederli con i propri occhi! Già nel 1965 il mio sguardo era stato attirato da un francobollo bello come una stampa. Lo mostravo a tutti chiedendo ingenuamente: “E’ una montagna vera? Dove si trova?”.

Huang Shan da Mountain Photo Festival.
Marc Riboud, Huang Shan - Mostra Huang Shan - ph.Contrasto


Huang Shan vuol dire innanzitutto “salire”, salire migliaia di gradini.

L’unità di misura è il numero di gradini: dalle pendici del massiccio fino al padiglione dello Schermo di Giada aggirando la vetta della Capitale del Cielo, ci sono 3450 gradini, dalle pendici all’albergo del Mare del Nord, 2325 gradini, ecc… Quasi cento chilometri di sentieri e scale di pietra si inerpicano su per il massiccio. Anche i più piccoli tratti di percorso pianeggiante sono ricoperti da lastre come se fossero vie regali. Proprio come per la Grande Muraglia, ritroviamo anche qui la stessa ostinazione utopica e grandiosa. Ma se la Grande Muraglia, che si vede persino dalla Luna, non è mai riuscita a bloccare i barbari, le scale degli Huang Shan consentono a quei barbari che siamo noi, plasmati dal bitume delle città, di raggiungere le cime più vertiginose senza aver bisogno di arrampicarci, percorrendo le scalinate meticolosamente calibrate sul passo dell’uomo. Ogniqualvolta si presenta una difficoltà, ecco comparire una rampa, una catena a portata di mano, un gradino, un incavo nella roccia a portata di piede. C’è sempre un appoggio al posto giusto, al momento giusto. E questa raffinatezza nell’arte di alleviare gli sforzi è un risultato strappato alla montagna al prezzo di una titanica impresa durata secoli.

Ma chi fu il committente? Forse un imperatore come Chin, il costruttore della Grande Muraglia? “No, mi risponde un’autorità locale, sono gli abitanti della montagna”. Vengo così a sapere che nel 1934 la vedova di un generale di Chiang Kai-Shek ha fatto scolpire nella pietra la scala con tanto di catena che sale fino alla Capitale del Cielo. Dato che oggi questo sentiero non basta più per il gran viavai di turisti, è stato aggiunto un altro percorso a senso unico per la discesa. Un giorno forse vedremo spuntare anche i semafori!

Ancora oggi noi europei consideriamo spesso la montagna come un luogo di prodezza, di competizione. Vincere il pericolo è qualcosa che ci attira. L’uomo in grado di sconfiggere le montagne ci sembra un superuomo. Invece coloro che salgono sui monti Huang Shan sfiorano cime che sono state raggiunte migliaia e migliaia di volte prima di loro. Vengono da lontano non per compiere un exploit, ma per ripercorrere i passi di poeti e pittori. Negli Huang Shan il tempo scorre sui gradini consunti di queste scale senza età che salgono all’infinito verso promontori dediti esclusivamente al culto della bellezza. Prima di raggiungere la Capitale Celeste, la scalinata si divide in due parti, di cui una si perde nella foschia.

Porterà al burrone o al cielo?

Qui, durante la stagione giusta, ossia quella della nebbia, lungo i sentieri, ci si può spesso imbattere in pittori, concentrati e pazienti, seduti sulle pietre davanti a fogli immacolati. Oggi sono numerosi gli artisti che frequentano questi luoghi. La Cina è il paese che registra il maggior numero di “pittori della domenica”. Basta vedere il numero di pennelli venduti! Il Monte Huang è per loro un viaggio iniziatico imprescindibile. Sulle tracce dei maestri i pittori in erba vengono qui per ristabilire un legame con la tradizione degli antenati. Su queste cime il furore dei venti e il mistero della foschia riescono a inebriare anche i più savi.

Quando si apre un varco tra le nuvole, il sole rivela tutta la portata dei danni provocati dall’inquinamento. Nelle città cinesi, l’inquinamento è simbolo di modernità e pertanto motivo di orgoglio. Migliaia di cinesi provenienti da Pechino e Shangai abbandonano nei dirupi e ai piedi dei pini millenari gli oboli della “civiltà” cittadina: bottiglie, ciarpame e pezzi di plastica di tutti i colori. Sconsacrano, senza nemmeno rendersene conto, l’oggetto stesso del loro fervore. Per fortuna, la foschia, senza la quale questa montagna non sarebbe quello che è, spesso interviene ricoprendo le vallate con un velo pudico e nascondendo le brutture.

Perché questa montagna attira più di qualunque altra un numero così elevato di uomini e donne di tutte le età e di tutte le province? Se questo luogo ispira da tempo immemore la creazione pittorica e poetica, non è solo perché la nebbia plasma lo splendore del paesaggio, ma anche perché permette a chi si lascia soggiogare e trasportare dalla montagna di tuffarsi in un’armonia e un mistero che il pittore letterato Wang Wei della dinastia Tang, del VI secolo, adepto del Chan, ha chiamato la “risonanza interiore”.

In cima alla Capitale del Cielo, con il volto frustato dal vento, di fronte al più bel paesaggio del mondo, chi non ha provato questa strana risonanza insieme all’incontenibile voglia di intonare una lode alla foschia e al grande sogno cosmico degli antichi pittori cinesi?


Marc Riboud

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